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da: "Il di dentro dei suoni svelato con le parole"

La musica di Biagio è il minimalismo ridotto al minimo. E’ un minimalismo al quadrato, forse al cubo. E’ una scomposizione della materia sonora così fine da sembrare una nota polverizzata, pestata nel pestello e resa imponderabile come il velo di una pallidissima cipria. Come una nota descritta dall’interno, svelata nella sua condizione di molecola, addirittura di atomo. Più che un musicista si direbbe uno scienziato. Uno che fa studi sulla composizione ultima della materia delle note. Uno che ti mostra di quanti involucri di quanti strati di pelle è fatta una nota. Una qualunque nota. Così quando ascolti le sue musiche fai un viaggio nello spazio. Ti dilata così tanto i muri del suono che ti fa entrare dentro l’udito. Uno spazio immenso. Un infinitamente disperso e vuoto e privo di gravità. Dove gli unici punti di riferimento sono quegli innumerevoli accidenti sonori come scogli sui quali salire per vedere/udire qualcosa di ulteriore su dove siamo. Così comprendi che è proprio dal brusco accorpamento di tutte queste manifestazioni di tutti questi accidenti sonori di tutti questi pulviscoli e crepitii e piume che cadono nell’orecchio che è fatto un suono: un movimento della lingua sul palato un grido improvviso di un fratello rabbioso che sottrae l’intenzione di sua madre da altro...

Teresa Ciulli da “Il di dentro dei suoni svelato con le parole”